Ore 19.00 Bar del Pontile - Lungomare di Lerici
Byron, Shelley e i Greci di Tomaso Kemeny
di Solange Passalacqua
Il 24 luglio alle ore 19 nella splendida saletta esterna del Bar Pontile a Lerici, il prof. Tomaso Kemeny ha evocato le figure dei poeti inglesi Byron e Shelley, vicini alla Grecia e alla sua cultura.
Byron è uno dei pochi Romantici molto vicino al Classico, sia per quanto attiene alla sua poetica (usa le forme più difficili della versificazione) sia perché, già nel suo tempo, vedeva la grande decadenza che ha raggiunto il culmine nella nostra epoca. Byron è cittadino dell’Universo, del mondo, l’uomo nuovo che lotta contro la barbarie e la tirannia del Brutto in favore della Bellezza. E questa bellezza non è un ornamento, non è qualcosa che si indossa e basta, ma in lui soprattutto, diventa stile di vita: un modo di vivere, di amare, di lottare, ovunque e quotidianamente.
La visione di Byron corrisponde a quella del greco antico, del pagano, per il quale il dio non era solo un piccolo simulacro di pietra, ma era ovunque moltiplicato e dispensatore di bellezza.
Shelley è invece il rovescio della medaglia byroniana: mentre il primo legge l’esperienza attraverso le idee astratte, attraverso l’ideale, Byron critica le idee attraverso l’esperienza diretta, l’azione, ma le onora costantemente. Per entrambi, la Grecia antica è la radice di ogni possibile civiltà, e la perdita della tradizione ellenica, nonostante il progresso economico, tecnologico e medico, porta alla schiavitù bestiale degli istinti feroci, cioè la perdita del Bello e del Sublime.
Byron assunse per la sua generazione la qualità di uomo nuovo, per la sua sfida contro ogni tiranno, ogni istituzione repressiva, nonché contro ogni forma di restrizione della libertà dell’individuo. Lo eternò Goethe nel suo Faust dicendo che Byron era figlio di Faust (volontà moderna dell’oltrepassamento) e di Elena (incarnazione della Bellezza classica), il suo ruolo è paradigma per chi desideri vivere affrancato dall’opportunismo e dai bassi istinti, per coloro che preferiscono immolarsi per la trasformazione del Mondo e per la sua libertà. Perché non esiste Libertà senza Bellezza.
La prima volta che Byron giunge in Grecia, a Patrasso, ai piedi del Parnaso si reca alla fonte di Castalia, simbolo della purificazione di coloro che vogliono consultare l’oracolo di Delfi, utilizzata anche dai poeti che ne bevevano le acque per risvegliare l’estro e la creatività. Questo potrebbe sembrare un delirio turistico, ma in realtà è stato un gesto sacro, di invocazione degli dei, che non sono ancora ritornati. Qui in Grecia Byron compone Il pellegrinaggio del giovane Aroldo, elevando l’Ellade a simbolo metastorico della libertà, cantando della necessaria conquista, da parte di ognuno di noi, della propria autonomia. Passo fondamentale per la formazione di una nazione: una nazione nasce quando i cittadini sono dei veri individui, hanno un’anima, e non sono semplici servitori dei consumi o degli interessi immediati.
Nel poema Byron trasfigura la poesia topografica, quella che i grandi poeti utilizzavano per descrivere bellissimi luoghi: lui descrive luoghi meravigliosi per sottolineare l’assenza del Mito, del Sacro. Apre, e precede, al Moderno, canta l’impossibilità del nostos, del ritorno a casa, è fuori dal mondo sulle tracce dell’antichità. Bisogna tornare agli antichi valori, ma perché vivano è necessario reinventarli.
Terminata la stesura dei primi due canti, il poeta si spinge a Efeso, poi parte per Costantinopoli, attraversa lo stretto dei Dardanelli e giunto qui mostra come il poeta non è solo un essere che coglie lo spirare dell’Altro, dell’Inconscio o degli Dei, o della Tradizione, ma anche un essere che ha un corpo: si getta nella corrente turbinosa dell’Ellesponto e, come nel mito di Ero e Leandro, attraversa in un’ora e mezzo il tratto di mare tra Abydo e Sesto. Di questa impresa mi vanto più di qualsiasi altro tipo di gloria, politica, letteraria o oratoria.
Nel 1810 si trasferisce ai piedi dell’Acropoli, in un convento di Cappuccini. Prende sistematicamente lezioni di greco e si prepara a intervenire in aiuto di questa popolazione.
Nel 1819 scrive il Don Juan, dove descrive in maniera sublime la Bellezza del paesaggio greco. Si tratta della scena naturale in cui si manifesta il kairos, l’attimo magico in cui Don Giovanni e la figlia della Natura si congiungono in un eden simile al paradiso ebraico. Le parole coincidono con le idee, con i sentimenti, prima che la menzogna diventi la forma retorica più avanzata e l’eros è esaltato in maniera romantica.
Il 19 aprile del 1824 un uragano impressionante sconvolge Missolungi e Byron muore, abbandonando la Grecia e la nostra terra.
Byron, Shelley e i Greci di Tomaso Kemeny
di Solange Passalacqua
Il 24 luglio alle ore 19 nella splendida saletta esterna del Bar Pontile a Lerici, il prof. Tomaso Kemeny ha evocato le figure dei poeti inglesi Byron e Shelley, vicini alla Grecia e alla sua cultura.
Byron è uno dei pochi Romantici molto vicino al Classico, sia per quanto attiene alla sua poetica (usa le forme più difficili della versificazione) sia perché, già nel suo tempo, vedeva la grande decadenza che ha raggiunto il culmine nella nostra epoca. Byron è cittadino dell’Universo, del mondo, l’uomo nuovo che lotta contro la barbarie e la tirannia del Brutto in favore della Bellezza. E questa bellezza non è un ornamento, non è qualcosa che si indossa e basta, ma in lui soprattutto, diventa stile di vita: un modo di vivere, di amare, di lottare, ovunque e quotidianamente.
La visione di Byron corrisponde a quella del greco antico, del pagano, per il quale il dio non era solo un piccolo simulacro di pietra, ma era ovunque moltiplicato e dispensatore di bellezza.
Shelley è invece il rovescio della medaglia byroniana: mentre il primo legge l’esperienza attraverso le idee astratte, attraverso l’ideale, Byron critica le idee attraverso l’esperienza diretta, l’azione, ma le onora costantemente. Per entrambi, la Grecia antica è la radice di ogni possibile civiltà, e la perdita della tradizione ellenica, nonostante il progresso economico, tecnologico e medico, porta alla schiavitù bestiale degli istinti feroci, cioè la perdita del Bello e del Sublime.
Byron assunse per la sua generazione la qualità di uomo nuovo, per la sua sfida contro ogni tiranno, ogni istituzione repressiva, nonché contro ogni forma di restrizione della libertà dell’individuo. Lo eternò Goethe nel suo Faust dicendo che Byron era figlio di Faust (volontà moderna dell’oltrepassamento) e di Elena (incarnazione della Bellezza classica), il suo ruolo è paradigma per chi desideri vivere affrancato dall’opportunismo e dai bassi istinti, per coloro che preferiscono immolarsi per la trasformazione del Mondo e per la sua libertà. Perché non esiste Libertà senza Bellezza.
La prima volta che Byron giunge in Grecia, a Patrasso, ai piedi del Parnaso si reca alla fonte di Castalia, simbolo della purificazione di coloro che vogliono consultare l’oracolo di Delfi, utilizzata anche dai poeti che ne bevevano le acque per risvegliare l’estro e la creatività. Questo potrebbe sembrare un delirio turistico, ma in realtà è stato un gesto sacro, di invocazione degli dei, che non sono ancora ritornati. Qui in Grecia Byron compone Il pellegrinaggio del giovane Aroldo, elevando l’Ellade a simbolo metastorico della libertà, cantando della necessaria conquista, da parte di ognuno di noi, della propria autonomia. Passo fondamentale per la formazione di una nazione: una nazione nasce quando i cittadini sono dei veri individui, hanno un’anima, e non sono semplici servitori dei consumi o degli interessi immediati.
Nel poema Byron trasfigura la poesia topografica, quella che i grandi poeti utilizzavano per descrivere bellissimi luoghi: lui descrive luoghi meravigliosi per sottolineare l’assenza del Mito, del Sacro. Apre, e precede, al Moderno, canta l’impossibilità del nostos, del ritorno a casa, è fuori dal mondo sulle tracce dell’antichità. Bisogna tornare agli antichi valori, ma perché vivano è necessario reinventarli.
Terminata la stesura dei primi due canti, il poeta si spinge a Efeso, poi parte per Costantinopoli, attraversa lo stretto dei Dardanelli e giunto qui mostra come il poeta non è solo un essere che coglie lo spirare dell’Altro, dell’Inconscio o degli Dei, o della Tradizione, ma anche un essere che ha un corpo: si getta nella corrente turbinosa dell’Ellesponto e, come nel mito di Ero e Leandro, attraversa in un’ora e mezzo il tratto di mare tra Abydo e Sesto. Di questa impresa mi vanto più di qualsiasi altro tipo di gloria, politica, letteraria o oratoria.
Nel 1810 si trasferisce ai piedi dell’Acropoli, in un convento di Cappuccini. Prende sistematicamente lezioni di greco e si prepara a intervenire in aiuto di questa popolazione.
Nel 1819 scrive il Don Juan, dove descrive in maniera sublime la Bellezza del paesaggio greco. Si tratta della scena naturale in cui si manifesta il kairos, l’attimo magico in cui Don Giovanni e la figlia della Natura si congiungono in un eden simile al paradiso ebraico. Le parole coincidono con le idee, con i sentimenti, prima che la menzogna diventi la forma retorica più avanzata e l’eros è esaltato in maniera romantica.
Il 19 aprile del 1824 un uragano impressionante sconvolge Missolungi e Byron muore, abbandonando la Grecia e la nostra terra.
Ore 21.30 Pontile della Navigazione e Palco della Rotonda - Giardini di Lerici
Argonauti nel golfo deli Dei, sbarco poetico dalla nave Argò e corteo guidato dai trampolieri acrobati del gruppo Nouvelle Lune, con Tomaso Kemeny, Isabella Tedesco Vergano, Francesco Macciò, Angelo Tonelli. Interventi musicali: Antonella Tronfi, soprano e musiche degli Antiqua Lunae: Alessandro Arturo Cucurnia, Daniele Dubbini, Nicola Caleo, Lavinia Mancini e Simone Sonatori. Danze di Valeria Antonini e Michela Godani. Performance di Annalisa Maggiani.
Argonauti nel golfo deli Dei, sbarco poetico dalla nave Argò e corteo guidato dai trampolieri acrobati del gruppo Nouvelle Lune, con Tomaso Kemeny, Isabella Tedesco Vergano, Francesco Macciò, Angelo Tonelli. Interventi musicali: Antonella Tronfi, soprano e musiche degli Antiqua Lunae: Alessandro Arturo Cucurnia, Daniele Dubbini, Nicola Caleo, Lavinia Mancini e Simone Sonatori. Danze di Valeria Antonini e Michela Godani. Performance di Annalisa Maggiani.
Le foto sono di Alberto Alcozer e Corrado Perazzo